Ho iniziato
a fare laboratori appena terminato il mio corso di studi di Illustrazione.
Incoraggiata
da una mia ex insegnate ho steso un progetto che ho mandato all’ufficio Infanzia del comune della mia città.
Poco dopo, con
mia grande sorpresa e insieme con una piccola schiera di aspiranti al posto di
“esperto di laboratori”, sono stata convocata in quell’ufficio: potevamo
presentare un progetto che sarebbe stato oggetto di selezione. I selezionati
avrebbero fatto parte del libro delle proposte che il Comune distribuiva ad
ogni Scuola d’Infanzia della città. Gli insegnanti avrebbero poi operato
un’ulteriore selezione, scegliendo l’esperienza che preferivano.
Qualche mese
dopo ecco un’altra grande sorpresa: avevo passato tutte le selezioni e ben tre
asili mi avevano chiamata!
Quello che
mi interessava era appassionare i bambini al libro certa che, se si fossero
innamorati di un libro da piccoli, avrebbero coltivato per sempre questa
passione.
Ho scelto con
cura una serie di libri: ad ogni incontro venivano presentati e letti più
volte.
Poi si
giocava con la storia, con i suoi personaggi, e i bambini disegnavano ciò che
ricordavano, ciò che era piaciuto loro, attuando così piccole riflessioni.
Ogni volta ho
cambiato la tecnica con cui disegnare: pennarelli, matite colorate, acquerelli,
collage, tempere.
Al termine
del ciclo di laboratori i disegni sono stati montati su un leporello contenuto
all’interno di una scatola da scarpe, decorata dai bambini con un’altra tecnica
artistica.
Maestre e
bambini si erano divertiti, avevano letto dei libri, avevano provato tecniche
nuove. Era venuto un bellissimo prodotto.
I disegni dei bambini, sempre bellissimi, montati in questa scatola decorata da
loro, ognuna diversa, avevano un impatto grafico molto forte e lasciavano la
soddisfazione dell’avere un bell’oggetto da portare a casa e da mostrare.
Qualche anno
dopo è partito il mio progetto del laboratorio privato. Ho incominciato con quello
che sapevo fare, riproponendo il progetto del libro.
Questa volta
non era più una scatola, c’era un tema (il Natale) ma il principio restava lo
stesso: si leggevano dei libri e si disegnava cambiando ogni volta la tecnica.
Alla fine i
disegni erano stati montati su un librone per ciascun bambino.
Il prodotto
finale, anche in questo caso, era ineccepibile. I bambini si erano divertiti
moltissimo, le mamme erano contente di avere una cosa così bella fra le mani.
Per
Carnevale di quell’anno ho svolto altri laboratori a tema. Qualcosa in me stava
cambiando: iniziavo a capire l’importanza della sperimentazione ma ancora una
volta i bambini sono andati a casa con un bellissimo prodotto.
Intendiamoci:
è chiaro, dal tono in cui vi scrivo, che sto in qualche modo banalizzando, con
la spietata autocritica che mi pervade, quelle prime esperienze. In realtà non
erano così insignificanti e mediocri: ancora oggi le trovo allineate con la
maggior parte delle cose che vedo in giro.
Qualcosa, personalmente,
non mi tornava. Cosa? E perché?
Quante volte
avevo detto loro come fare? Quante volte avevo imposto,
seppur in modo affettuoso, giocoso, didattico, propedeutico, me stessa?
Cosa avevo
dato ai bambini? L’idea del libro era buona, ma la parte di creatività era una
via di mezzo tra un abbandono alla libertà del loro sempre bellissimo universo
colorato, manifestato secondo indicazioni più o meno precise, e un avviamento
al disegno o alla pittura.
Nei miei
laboratori cosa avevano imparato?
Cosa volevo
dare ai bambini?
La formazione Metodo Bruno Munari® è arrivata per rispondere a
molte delle domande che mi stavo facendo.
Uno degli
elementi importanti che caratterizza il Metodo è che ogni laboratorio è una
sperimentazione non finalizzata.
Una
sperimentazione non finalizzata significa che più che il prodotto finale
importa il processo. Una
sperimentazione non finalizzata parte da quello che il bambino sa e rispetta la
sua individualità; non c’è un prodotto da assemblare e da completare, in
nessuna delle sue declinazioni: né il disegno, né il lavoretto, né l’oggetto
bello, né il manufatto artistico.
C’è
osservazione attiva e critica, conoscenza, sperimentazione più pura, ricerca di
variabili.
C’è un
bambino che sperimenta, fa, gioca, scopre, c’è un bambino che fa un’esperienza
sua e la vive intensamente.
Solo questo
processo può permettere la realizzazione di qualcosa che è sicuramente giusto,
sicuramente bello. Bruno Munari ci dice: «la sperimentazione non deve essere
finalizzata, caso mai si finalizzeranno i risultati». Solo dopo aver scoperto il segno questo può diventare un disegno.
Ma questa è un’altra storia, che vi racconterò un’altra volta.
Per oggi mi
piace salutarvi con l’immagine di qualcuno – un bambino, un adulto- che fa di
un’esperienza, un’esperienza propria:
non è forse questo uno degli auguri migliori che si possa fare per tutta una
vita?
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